Come ogni anno lo scorso 8 Marzo si è celebrata la festa della Donna in diverse parti del mondo. Ma cosa significa essere donna oggi? Sono tante le disuguaglianze, le situazioni di disagio e pregiudizio che molte donne si ritrovano ad affrontare. Ma anche in queste situazioni si riesce a scoprire qualcosa di meraviglioso.
Quest’anno le donne hanno cenato insieme per altre donne
Lo scorso 8 Marzo ho partecipato alla festa delle donne in onore delle donne del Kenya. Una cena etnica con pietanze tipiche del Nepal, Libano, Grecia, Medio Oriente e Brasile, organizzata dalle associazioni “Mondeco Onlus” e “A força da partilha”. Evento suggerito da amici che dedicano, da molto tempo, la propria vita al volontariato, ad aiutare gli altri a regalare sorrisi a chi non sa cosa siano.
Nei giorni precedenti all’evento, decido di coinvolgere qualche amica e di confermare la presenza, curiosa di assaggiare il cibo proveniente da altre parti del mondo. Ma non mi bastava.
Mi sono informata sull’organizzazione della serata ed ho dato disponibilità ad aiutare e così, la sera prima sono andata a conoscere il motore di Mondeco Onlus.
Cosa ho trovato? Un gruppo di persone affiatate, fatto non solo di donne ma anche di uomini che hanno aiutato a cucinare e sistemare i tavoli per ben 220 donne. Tra risate e lezioni culinarie ho iniziato il mio interrogatorio dando sfogo alle mie curiosità. Volevo conoscere le Donne del Kenya, sapere di più di quelle donne alle quali viene dedicata ogni anno questa cena. Ho parlato con Monica, Ilaria, Nadia, Silvia, Francesca, Don Marco… Mi hanno raccontato le loro Esperienze, i loro viaggi e le loro emozioni.
Ma chi è Mondeco? Mondeco Onlus, un’associazione nata formalmente nel 2008, promuove, realizza e sostiene progetti a carattere socio-educativo-formativo sia in Italia che nei Paesi in via di sviluppo, a favore di minori abbandonati, orfani, disabili e persone povere ed emarginate.
Fantastico vero? E le persone che ho conosciuto e portano avanti il tutto sono genuine, vere e non sanno cosa sia la fatica.
Cosa abbiamo mangiato alla cena etnica dell’8 Marzo 2016?
Don Marco ha aperto le danze descrivendo l’obiettivo della serata. Lui è un grande oratore che si è trasformato, per questa sera, in cameriere con camicia bianca e papillon insieme ad una decina di ragazzi volontari.
La cena era stata organizzata alla perfezione: anche celiaci e vegetariani hanno trovato deliziose pietanze adatte a loro. Amo quando tutto viene trattato con cura.
Abbiam iniziato con le Kolokithokefte come antipasto, che sono delle frittelle di zucchine e feta della Grecia; Il Fattoush, un’insalata mista con crostini di pane del Libano; la Samosa, fagottini ripieni di verdure del Nepal; le Falafel, le polpettine di ceci con salsa allo yogurt del Medio Oriente; il Babaganoush, crema di melanzane del Medio Oriente. Il piatto principale è stato la Feijoada, piatto tipico Brasiliano con riso e farofa ed abbiamo concluso con il dolce composto da torta e gelato al cocco.
Vi posso assicurare che era tutto buono e delizioso.
La serata è proseguita tra lotterie, pese del formaggio, racconti di muli siciliani (ma questa è un’altra storia…che vi racconterò presto)
Le storie delle donne di Sololo che hanno riempito il mio cuore
Ma il bello viene ora. Ho avuto modo di parlare con Margot, la moglie di Pino Pollini, medico che dedica la sua vita ai bambini di Sololo (potete seguirlo su www.sololo.eu )
Margot mi ha raccontato che la vita a Sololo non è semplice; lì non esiste la parità fra donne e uomini. Eppure, in un panorama così desolante, emerge la forza delle donne africane. Sono capaci, anche con pochi mezzi, di combattere per difendere i deboli, mettendo al primo posto l’amore per i propri figli e/o per i bisognosi. La donna africana è coraggiosa, intelligente, responsabile e con un gran cuore. Inoltre Margot mi ha parlato di Chiara Gunella che nel 2012 si è recata a Sololo ed ha riportato a casa un ‘esperienza ricca di emozioni, racchiuse nel suo progetto “Le radici della Terra – Un’esperienza tra i Borana”. Ho letto tutto d’un fiato quello che ha scritto Chiara; le sue parole mi sono entrate nel cuore e sembrava come se lei mi stesse raccontando una storia, come se ascoltassi la sua voce. Dal racconto di Chiara emerge che le donne del Kenya sono la forza della Terra. Qui sotto riporto esattamente le sue parole che mi hanno emozionato:
“ …Le figure importanti tra i Borana , abitanti del Kenya del Nord, sono le cosiddette “mama”, donne che accolgono attorno a sé alcuni bambini orfani o diversamente bisognosi di tutela e protezione e ai quali prestano le loro cure. La loro organizzazione prevede che esse gestiscano due case in muratura, in cui sono ospitati in totale una trentina di bambini. In ciascuna casa, una di loro presta servizio giorno e notte, mentre l’altra (zia) lavora solo nelle ore diurne. Condizioni indispensabili per l’assunzione del compito è che le mama non siano sentimentalmente legate a degli uomini, che la loro età sia compresa tra i 40 e i 60 anni e che abbiano saldi principi morali.
Le donne borana considerano però un privilegio il loro legame con i propri figli. Fin dal momento del parto questa unione è di un’intimità assoluta. Esse non usufruiscono dei servizi ospedalieri, ma nella maggior parte dei casi partoriscono aiutate da una levatrice.
Il luogo del parto è tutt’altro che casuale, la casa infatti non rappresenta soltanto l’ambiente muliebre per eccellenza, ma per una sapiente e studiata orchestrazione simbolica diventa concreta rappresentazione simbolica del corpo femminile come descrive Marco Bassi: “La casa, la cui forma semicircolare o circolare richiama il ventre tondeggiante della donna incinta, è identificata con la donna, per cui la fiamma è anche energia vitale della donna in quanto madre sociale.” A ribadire ulteriormente il nesso tra maternità e spazio privato è l’usanza della segregazione della puerpera e del neonato per la durata di sette settimane. Si tratta di una fase liminale obbligatoria prima che il bambino faccia il suo ingresso ufficiale nella società degli uomini, di un periodo di totale intimità e simbiosi tra madre e bambino, protetti dal “grembo caldo e sicuro” della casa. Le madri Borana vivono da sole per sette settimane con il bimbo , durante le quali viene loro proibito di uscire dalla capanna, se non in casi eccezionali, e di avere rapporti con il marito. Il piccolo Borana, inoltre, impara presto a succhiare il latte dal seno materno durante la notte, senza neanche svegliare la madre.”
Grazie mille Chiara per avermi dato la possibilità di raccontare la tua esperienza.
Cosa mi sono portata a casa?
Ho trascorso una piacevole serata con le mie amiche. Ho conosciuto gente speciale che non puoi fare a meno di rivedere e riascoltare; ma soprattutto mi porto a casa la voglia di partire e raggiungere le donne e i bambini di Sololo in Kenya.
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